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L'ETÀ INQUIETA
(LA VIE DE JESUS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 settembre 1997
 
di Bruno Dumont, con David Douche, Marjorie Cottreel, Geneviève Cottreel (Francia, 1997)
 
Essere giovani, disoccupati ed epilettici in un paesino ai confini del Belgio. L'opera prima di Bruno Dumont è un film duro, assoluto, estremo come il mondo che dipinge. Quello del nord dalle estati brevi e violente, dagli inverni trasparenti, o brumosi, sempre interminabili. Assoluto: come la miseria di quelle campagne della Francia settentrionale. E l'emarginazione, l'assenza di prospettive, di ideali, di entusiasmi. Specie se si è giovani, come Freddy, il protagonista. Ma cosa significa giovane, immerso in un universo segnato dalla sconfitta? Cosi Freddy ha dei tratti quasi animaleschi, è malato, di una malattia che ha molti tratti in comune con la consanguineità. Giovane, non ha nemmeno molto senso se ci sia chiama Kadar; se si è Arabo, in un villaggio dove già venire "da fuori" costituisce un'infamia. La violenza, la brutalità ancestrale, animalesca, Dumont va a scovarla sotto la calma letargica di qui villaggio di pietra immobili.

È una violenza, una brutalità quasi documentaristica: che non sembra nascere da un calcolo intellettuale - come quasi sempre al cinema - ma da una presa di coscienza istintiva. Quindi pericolosa, ambigua?

È quanto sostiene Serge Toubiana: "Esiste nel film una sorta di assoluzione dell'ideologia che mi pare più che sospetta. Con il pretesto che quei corpi sono malaticci, biancastri, scopano per pura animalità, massacrano un Arabo per la difesa del proprio territorio simbolico, bisognerebbe assolverli?

La 'santità' di quella scena, quando l'arabo prende fra le braccia la giovane, alza gli occhi e nel cielo si disegna un'ogiva..."

Estremamente abile sul piano della messa in scena cinematografica, Dumont tenta di santificare, grazie alla "qualità" del proprio sguardo, l'esecrabile ideologia razzista che governa i personaggi del film? Il dialogo è aperto.


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